giovedì 30 novembre 2017

Andrea Giavomino Giacomino zQuesta sera.,Ordini pidiota ha dichiarato che il fallimento del Mod è colpa di Bankitalia.
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Pietro Bianchi Lillo caro, dici il vero e la verità, come dai, e' indifendibile.
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Lillo Taverna ma alla lunga vince sempre. Del resto contra factum non valet argumentum. Ai sensi di legge quale VIGILAZZA è ormai commessa alla Banca d'Italia di Visco? Al limite se la prendano con la SOPRANAZIONALE BCE. Sono ifngnoranti e le sparano grosse. Veri bischeri! Calogero Taverna
Il 13 febbraio del 2013 Malgrado Tutto si induceva a fare cassa di risonanza ad una serie di vituperovoli calunnie del Casarrubea, rivolte al nostro grande Ispettore generale di PS gr.uff. Ettore Giuseppe Tancredi Messana.
Il Terrana di Grotte aveva voglia di diffamare Ettore Messana, che talora chiama uno sbirro morto quasi un secolo fa, credendo o facendo credere che DISCUSSA FOSSE LA CARRIERA DI CODESTO 'POLIZIOTTO, nel deleterio senso della suo spregevole escatollo.
Qua...si un quinquennio di discussioni di cui sono stato anche un discreto artefice ed ancora Terrana pensa di potersela cavare con un aristocratico silenzio, silenzio peraltro cafonescamente esteso a Donna Giovanna Messana, l'unica vera nopote diretta del Messana. Altro che il cuscinetto di comodo 'Giuseppe Bellavia Messana! Carneade chi mai era costui?
Calogero Taverna
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Con questo verbale del luglio 1951 nel processo di Viterbo si sancisce la verità 'passata in giudicato sulla estraneità di Ettore Giuseppe Tancredi Messana dai torbidi e criminali eventi del banditismo siciliano ai tempi della strage di Portella delle Ginestre.
Dunque Ettore Giuseppe Tancredi Messana e non VITO, topica colossale del cancelliere, nato a Racalmuto nell'aprile del 1884, quindi sessantasettenne,Quando Casarrubea e Cereghino affermano spudoratamente e reiteratamente che 'Ferreri ...diventa ben presto confidente numero uno dell'ispettore generale di Pubblica sicurezza dell'isola, Ettore Messana', (cfr, poag 84 de 'La scomparsa di Salvatore Giuliano, - Bompiani . 2013)
insinuano per diffamare, calunniare e mentire-
Sapevan bene sin dal 1951 che «L’Ispettorato aveva dei confidenti ed inoltre era in contatto con alcuni elementi che ci
ponevano in comunicazione con il bandito Ferreri Salvatore».
D. R. «Io nessun contatto diretto ebbi col Ferreri, solo ebbi rapporti con lui tramite i suddetti elementi di collegamento».
D. R. «Escludo che Ferreri mi abbia fatto sapere i nomi di coloro che avevano partecipato all’azione di Portella; può darsi che qualche indicazione l’abbia data al colonnello Paolantonio oppure ad un altro funzionario di P.S., certo Zappone, che io avevo dislocato nella zona di Partinico e che fu ucciso a Borgetto in un agguato».





Il bandito Giuliano









La strage di Portella della Ginestra


Documenti sulla strage

Documento 13


VERBALE INTERROGATORIO


DELL’ISPETTORE VITO MESSANA


Verbale di continuazione di dibattimento del 20 luglio 1951


[cartella 4, vol. V, n. 5]


D’ordine del Presidente, introdotto il testimone Messana Ettore fu Clemente di anni 66, nato a


Racalmuto (Agrigento) e domiciliato in Roma, Ispettore di Ps.


Interrogato in merito ai fatti della causa, risponde:

«Fui mandato in Sicilia a capo dell’Ispettorato Generale di P.S. per la Sicilia nel maggio 1945 e vi


rimasi fino a tutto luglio 1947. Il decreto che istituì l’Ispettorato è dell’aprile 1945 e funzione di tale


organo fu quella di integrare l’opera repressiva e preventiva nell’eliminazione del banditismo ed in


genere della delinquenza associata in Sicilia».


D. R. «Io ebbi a mia disposizione 750 carabinieri, 350 agenti e 14 funzionari, che distribuii in tutte le


province della Sicilia da Messina a Trapani. Fui io che istituii i nuclei di carabinieri e polizia nei


centri dove a me sembrò che dovessero essere istituiti. Le mie prime operazioni feci nelle province


di Agrigento e di Catania. Verso la fine del 1945 incominciò ad affiorare l’attività della banda


Giuliano. Tale fatto fece aumentare la mia attività tanto più che la banda Giuliano e quella di Avila


si erano poste al servizio dell’Evis».


D. R. «Ebbi notizia dei fatti di Portella nelle ore pomeridiane del 1° maggio 1947. Mi recai ad una


riunione indetta dal prefetto Vittorelli, dove si stabilì una certa azione da svolgersi. L’indomani mi


recai a Piana degli Albanesi ed a San Giuseppe Jato, ove già si era proceduto all’arresto di quattro


persone ad opera di un nucleo dipendente dall’Ispettorato e dove si era proceduto a largo


rastrellamento arrestando centinaia di persone sospette, le quali però furono quasi tutte rimesse in


libertà. Non essendo emersa a loro carico alcuna responsabilità».


D. R. «Tutto ciò venne fatto ad opera della questura che si limitò poi a denunciare solo i quattro


arrestati».


D. R. «In una riunione tenuta anche alla presenza dell’Ispettore Generale di P. S. Rosselli, inviato a


Palermo dal Ministero, fu deciso da quest’ultimo che la direzione delle indagini dovesse essere


affidata al questore Giammorcaro e fu così che io passai alle dipendenze di costui».


D. R. «Si venne frattanto a conoscenza che il 1° maggio era stato sequestrato, dopo la sparatoria, un


campiere, certo Busellini, del quale non si seppe nulla per tanti giorni e che poi fu trovato ucciso in


un fossato da un nucleo alle mie dipendenze».


D. R. «Non so se il ritrovamento del cadavere del Busellini avvenne a mezzo di cani poliziotti od a


mezzo solo di ricerche».


D. R. «Mi sembra di ricordare che sul petto del cadavere del Busellini fu trovato un cartello con la


scritta «questa è la fine dei traditori», la qualcosa ci convinse che il delitto era stato consumato dalla


banda Giuliano. Tale convinzione ci facemmo anche per il delitto di Portella poiché ci convincemmo


che colui che aveva ucciso Busellini era uno di quelli che aveva sparato a Portella».


D.R. «Noi dell’Ispettorato, fin dal primo momento, pensammo che la strage di Portella era da


attribuirsi alla banda Giuliano, perché il fatto era avvenuto nella zona così detta d’imperio della


banda stessa, mentre l’Angrisani ed il Guarino avevano orientamento diverso».


D. R. «Tale convincimento da parte dell’Ispettorato fu però rafforzato dal rinvenimento del cadavere


del Busellini».
Contestatogli che nel verbale di rinvenimento del cadavere del Busellini non vi è traccia del cartello


rinvenuto sul suo cadavere, risponde:

«Può darsi che io abbia un cattivo ricordo di tale fatto, ma pure mi sembra di ricordare così».


D. R. «Le indagini continuarono e solo nel giugno avvennero i primi fermi effettuati dal nucleo


centrale comandato dal colonnello Paolantonio, il quale mi riferiva lo sviluppo di esse».


D. R. «Il rapporto n. 37 fu redatto quando io non ero più Ispettore Generale in Sicilia, essendo stato


sostituito il 1.8.47 dal questore di Napoli Coglitori».


D. R. «Quasi tutti i fermi avvennero durante la mia permanenza in Sicilia ed io, giorno per giorno,


venivo informato di quanto si riusciva a sapere dai fermati».


D. R. «L’Ispettorato aveva dei confidenti ed inoltre era in contatto con alcuni elementi che ci


ponevano in comunicazione con il bandito Ferreri Salvatore».


D. R. «Io nessun contatto diretto ebbi col Ferreri, solo ebbi rapporti con lui tramite i suddetti


elementi di collegamento».


D. R. «Escludo che Ferreri mi abbia fatto sapere i nomi di coloro che avevano partecipato all’azione


di Portella; può darsi che qualche indicazione l’abbia data al colonnello Paolantonio oppure ad un


altro funzionario di P.S., certo Zappone, che io avevo dislocato nella zona di Partinico e che fu


ucciso a Borgetto in un agguato».


D. R. «Il nostro convincimento che l’azione di Portella era dovuta alla banda Giuliano fu


maggiormente rafforzato dal riconoscimento effettuato da quattro cacciatori sequestrati in quella


mattina del 1° maggio, i quali in una fotografia di persona a cavallo riconobbero proprio colui che


ritenevano fosse il capo del gruppo che li aveva sequestrati».


D. R. «Il colonnello Paolantonio, fin quando io restai in Sicilia, non mi parlò mai del fermo di alcuno


ritenuto partecipe della strage di Portella per confidenze avute dal Ferreri».


D. R. «Escludo di aver avuto mai rapporti con Pisciotta Gaspare, come escludo di avergli rilasciato


un tesserino di riconoscimento sia al suo nome che a quello di Faraci Giuseppe».
Contestatogli che il Pisciotta ha affermato invece di aver avuto rilasciato un tesserino proprio da lui


che glielo fece recapitare tramite Ferreri, risponde:

«Escludo nel modo più reciso che ciò sia avvenuto».

Richiamato l’imputato Gaspare Pisciotta e contestatagli la dichiarazione resa dall’Ispettore


Messana a proposito del tesserino, risponde:

«Il tesserino lo ebbi tramite Ferreri, portava la firma Messana, aveva i timbri dell’Ispettorato, fu


strappato ed io spero che colui che lo ha strappato, se ha coscienza, lo dirà».


D. R. «Luca potrà dire qualcosa in merito, può darsi che il tesserino esista ancora, ma a me risulta


che fu stracciato».
Il teste Messana:


D. R. «Io facevo da organo propulsore nell’attività dei miei funzionari; dissi loro di indagare anche


sulla ragione per cui Giuliano fece l’azione di Portella ma nessuno di essi mi parlò mai su tale fatto».


D. R. «Andai via dalla Sicilia il 31.7.1947 e quindi non mi occupai più della cosa».
A domanda dell’Avv. Sotgiu, risponde:


«Non ricordo di aver rilasciato al Ferreri un tesserino di libera circolazione, ma non escludo che esso


possa essere stato rilasciato da altri sotto il mio nome, essendo io il capo dell’Ispettorato. Devo dire


per altro che la mia firma ufficiale è quasi inintellegibile come Messana, anzi ritengo che sia del


tutto inintellegibile».


D.R. «Non rilasciai tesserini di libera circolazione ai confidenti, non so se ne furono rilasciati a mio


nome dai miei dipendenti che nulla mi riferivano intorno al rilascio di essi poiché ognuno ha i propri


confidenti ed intorno a noi si mantiene il più stretto riserbo anche con i superiori».


D.R. «Io fornivo il danaro che mi richiedevano per i confidenti ai miei dipendenti, i quali mi


rilasciavano ricevuta sulla quale si limitavano a dire. -- per un confidente- senza indicarne le


generalità».


D.R. «Certamente i rapporti col Ferreri iniziarono prima della strage di Portella. Ricordo di aver


saputo, attraverso la fonte Ferreri, che Giuliano voleva attentare alla vita dei dirigenti del Partito


Comunista di Palermo, fra i quali il Li Causi. Informai per la opportuna vigilanza il questore e fu il


colonnello Paolantonio che avvisò direttamente il Li Causi».


D.R. «Al padre del Ferreri feci dare un porto d’armi, ma ciò rientrava nel progetto di venire


all’arresto di Giuliano. Sentii parlare del rinvenimento del predetto porto d’armi sul cadavere del


Ferreri, ma ciò non constatai personalmente».


D.R. «Escludo che il padre del Ferreri facesse parte della banda Giuliano».


D.R. «Non mi risulta che dopo l’amnistia dell’Evis Giuliano abbia mantenuto rapporti con persone


insospettabili».


D.R. «Dopo di me all’Ispettorato ci fu Coglitore, poi Modica, poi Spanò, poi Verdiani»


D.R. «Non ricordo i nominativi dei componenti la banda Giuliano».


D.R. «Esiste un rapporto intorno alle bande armate dell’Evis ed all’attività da esse spiegate, rapporto


redatto dal nucleo centrale alle mie dipendenze».


D.R. «Sono a conoscenza dei nomi in esso compresi, può darsi che l’elenco contenuto in detto


rapporto non sia completo e non comprenda tutta la materia, essendo potuta qualcosa essere sfuggita


e qualcosa sopraggiungere».


D.R. «Non ricordo il nome di Genovesi Giovanni tra i confidenti della polizia, né so se egli sia stato


interrogato dal colonnello Denti».
A domanda dell’avv. Crisafulli, risponde:


«Per il fatto di Portella venne in Sicilia un Ispettore generale del Ministero, come di solito avviene


quando succedono fatti di una certa rilevanza».


D.R. «Detto Ispettore riunì tutti gli organi di polizia in questura e poiché ogni organo comunicò i


risultati delle indagini svolte, l’Ispettore volle che le varie attività fossero coordinate e quindi, senza


esautorare e sostituire alcuno, dette la direzione al questore Giammorcaro al quale doveva essere


comunicata ogni attività degli organi di polizia. Tutto ciò per quanto riguarda i fatti di Portella».


D.R. «Mi fu detto che il Ferreri fu operato di appendicite».
A domanda dell’avv. Sotgiu, risponde:


«Non mi risulta che al Ferreri sia stata rilasciata una tessera intestata a Salvo Rossi, autista del


colonnello Paolantonio».
A domanda dell’avv. Crisafulli, risponde:


«Parlando di un rapporto Coglitore mi riferivo solo al rapporto firmato dal maresciallo Lo Bianco


relativo ai fatti di Portella»
A domanda del Pisciotta Gaspare, risponde:


«Escludo di essere stato io a consegnare i mitra al Ferreri, né mi risulta che ciò sia stato fatto da


qualcuno dell’Ispettorato. A quell’epoca avevamo penuria di armi».
Il Pisciotta aggiunge:


«I cinque mitra servirono per l’azione di Portella, secondo quanto mi disse Ferreri».

Dopo di che il Presidente rinvia la prosecuzione del dibattimento all’udienza del 23.7.1951 ore 9,30.


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Con questo verbale del luglio 1951 nel processo di Viterbo si sancisce la verità 'passata in giudicato sulla estraneità di Ettore Giuseppe Tancredi Messana dai torbidi e criminali eventi del banditismo siciliano ai tempi della strage di Portella delle Ginestre.
Dunque Ettore Giuseppe Tancredi Messana e non VITO, topica colossale del cancelliere, nato a Racalmuto nell'aprile del 1884, quindi sessantasettenne,
Quando Casarrubea e Cereghino affermano spudoratamente e reiteratamente che 'Ferreri ...diventa ben presto confidente numero uno dell'ispettore generale di Pubblica sicurezza dell'isola, Ettore Messana', (cfr, p
ag 84 de 'La scomparsa di Salvatore Giuliano, - Bompiani . 2013)
insinuano per diffamare, calunniare e mentire-
Sapevan bene sin dal 1951 che «L’Ispettorato aveva dei confidenti ed inoltre era in contatto con alcuni elementi che ci
ponevano in comunicazione con il bandito Ferreri Salvatore».
D. R. «Io nessun contatto diretto ebbi col Ferreri, solo ebbi rapporti con lui tramite i suddetti elementi di collegamento».
D. R. «Escludo che Ferreri mi abbia fatto sapere i nomi di coloro che avevano partecipato all’azione di Portella; può darsi che qualche indicazione l’abbia data al colonnello Paolantonio oppure ad un altro funzionario di P.S., certo Zappone, che io avevo dislocato nella zona di Partinico e che fu ucciso a Borgetto in un agguato».
 
 

mercoledì 29 novembre 2017

Un tempo la Banca d'Italia aveva questo capitale sociale delimitato solo a questi enti pubblici o simili:

a) Casse di risparmio;
b) Istituti di credito di diritto pubblico e banche di interesse nazionale;
c) Istituti di previdenza;
d) Istituti di assicurazione,
tenendo presente che Il capitale della Banca è di trecento milionn di lire ed è rappresentato da 300.000 quote di mille lire ciascuna, interamente versate.

Ora abbia questa selva selvaggia aspra e forte:






sto l'attuale CONSIGLIO  SUPERIORE








 

Questa la sconfortante evoluzione del Capitale sociale della Banca d'Italia, da Fazio a Visco:  



 



 
 Aride ciìfre? Sì, certo;   ma indici dei recenti e renziani sconvolgimenti legislatavi.

Calogero Taverna
Signor Renzi, lei osa accusare la Banca d'Italia di aver fatta cattiva vigilanza sulle aziende di credito. Ma è stato lei a decostituzionalizzare l'art. 20 della vecchia e glorisa Legge bancaria. Ha ignorato persino l'art. 19 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 che al n. 2 stabiliva: - 'la Banca d'Italia è istituto di diritto pubblico'.
Che senso ha oggi strillare sulle deficienze del controllo di una ormai Banca 'centrale' con quel po' po' di 'partecipanti'! Lei finendo nella trappola dei professionisti della privatizzazione a tutti csti ha consentito dall'alto del suo scranno di capo del governo di mettere il sasso in bocca alla Banca d'Italia quanto a vigilanza sugli operatori della raccolta del rispanio e dell'eserizio del credito. che la vecchia legge bancaria definiva 'funzioni di interesse pubblico'. E si ricordi che la prima nterpretazione della legge è quella letterale. Sottogliezze fornali dei legulei per lei aduso a scavalcarle o a cavalcarle pur di procedere alla rottamazione di coloro che non le aggradano. Salvo poi a pagarne lo scotto perché a rottamare Massimo d'Alema si finisce nella graticola.
Poi non si lamenti se ha fatto la figura del bischero quando ultimamente ha cercato per vie traverse di intromettersi nella nomina del governatore. Quando poteva n ha trascurao la suddetta legge 262/2005 lasciando vigente il punto 8) dell'art. 19 che stabilisce che "la nomina del governatore è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della bBanca d'Italia" Messo in ultimo come destrinatario di una semplice comunicazione (questo nell'intento del legislatore alla Tremonti di allora) diviene pregiudiziale a tutto. Salvo mio errore, il Consiglio suddeto è composti dal Governatore e da tredici consiglieri da nominarsi nelle asembuelee generali. E le assemblee generali sono ormai realtà bancarie o parabancarie che più private non si può. Certo può parteciparvi anzi deve parteciparsvi un 'Ispettore del tesoro designato dak Ministro del Tesoro' (so bene che sono imprciso ma non mìimporta molto).. E sai che conta codesto pubblico Ispettore!
Quel micidiale 'sentito il Consiglio superiore', è preclusivo di ogni nomina governativa sgradita, o non preselta dal Consiglio ove resta pur sempre egemone il Governatore, che se anche uscente o dimissionario o sfifuciato magari da lei signor Renzi esprime il suo voto, il suo beneplacito verso il suo sucecssore ad onta del Parlamento intero, per ora il grande estraneo.
Certo, siamo di fronte a bizzarrie istituzionali. Ciò mi spaventa, disorienta e mi preoccupa. Sono per la Centralità del Parlamento e peranto sono per il ritorno nell'area pubblica persino di rilevanza costituzionale della Banca d'Italia. Ma non è con la sua chiassata signor Renzi che si 'costitituzionalizza' la questione BI: solo con grande impegno costituzionalista del potere legislativo.
Incombenza del nuovo Parlamento, dato che quello attuale è inquinato dal Porcellum, Ma il nuovo con questa spada di Damocle del Rosatellum da lei signor Renzi imposto chissà dove ci porterà. Neppure il mio protervo ottimismo mi impedisce di prevedere un ulteriore catastrofismo istituzionale.
Calogero Taverna
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Indictione septima in un documento del 16 maggio 1324
L'indizione è un computo del tempo che non ha alcuna relazione col movimento degli astri. Essa è parte della Data nei documenti della tarda antichità, medievali e, in alcuni luoghi, moderni: indica l'anno all'interno di un ciclo di anni numerati progressivamente da 1 all'ultimo anno del ciclo a conclusione del quale il conto riprende da 1, ossia il primo anno del nuovo ciclo. Siccome l'Indizione giunge nell'epoca moderna basandosi su un ciclo quindicennale di anni, comunemente con la parola Indizione si indica, appunto, il detto ciclo quindicennale per cui, applicando i disposti enunciati nel periodo precedente, gli anni di tale ciclo sono numerati progressivamente da 1 a 15 e a conclusione del detto ciclo il conto riprende da 1 essendo iniziato un nuovo ciclo.
Il termine indizione deriva dal greco Ινδικτιών, Indiktion, digitazione fonetica Indiktión. Nei calendari liturgici ortodosso e greco-cattolico designa l'inizio dell'anno ecclesiastico, lndiktos, il 1º settembre.


Denominazione degli anni nell'Indizione[modifica | modifica wikitesto]

Comunemente, gli anni all'interno dell'Indizione sono denominati come di seguito indicati:
  • Indizione prima o Anno indizionale primo o Anno indizionale;
  • Indizione seconda o Anno indizionale secondo;
  • Indizione terza o Anno indizionale terzo;
  • Indizione quarta o Anno indizionale quarto;
  • Indizione quinta o Anno indizionale quinto;
  • Indizione sesta o Anno indizionale sesto;
  • Indizione settima o Anno indizionale settimo;
  • Indizione ottava o Anno indizionale ottavo;
  • Indizione nona o Anno indizionale nono;
  • Indizione decima o Anno indizionale decimo;
  • Indizione undecima o Anno indizionale undecimo;
  • Indizione duodecima o Anno indizionale duodecimo;
  • Indizione decima terza o Anno indizionale decimo terzo;
  • Indizione decima quarta o Anno indizionale decimo quarto, e
  • Indizione decima quinta o Anno indizionale decimo quinto.
Da quanto sopra, si evince per indicazione la denominazione di un determinato anno, secondo il numero d'ordine che esso occupa nel ciclo quindicennale, e per deduzione la distanza che lo separa dall'inizio del ciclo indizionale semprecché tale distanza non sia espressamente indicata nel documento.

L'Indizione nell'evo antico[modifica | modifica wikitesto]

Probabilmente tale computo ebbe origine in Egitto dove ogni cinque anni, a causa delle piene del Nilo, si "indiceva" un censimento fiscale come anche testimoniato da un papiro probabilmente risalente al 207 a.C.
È invece certo che con tale denominazione si indicasse un tributo fiscale imposto ai cittadini dell'Impero Romano che, secondo alcune fonti, fu introdotto con carattere straordinario[1] e che in seguito divenne ordinario e, secondo altre fonti, a cadenza quinquennale. Ulteriori fonti sostengono che tale tributo fosse divenuto ordinario o, almeno, ne fosse stata riconosciuta ufficialmente l'ordinarietà, con Diocleziano[2] il quale, secondo altre fonti, pare avesse stabilito l'annualità della cadenza del tributo o, almeno, l'annualità del versamento del tributo.[3] Secondo alcune fonti, con il IV secolo d.C. il tributo fiscale sarebbe stato esteso a tutto l'Impero Romano mentre altre fonti sostengono che ciò avvenne molto prima: è, invece, certo che con il IV secolo il computo di tale tributo diventa quindicennale.[4] L'Indizione originariamente era segnata solo in documenti di natura fiscale; è indubbio che dal computo quindicennale e, pare anche, dalla denominazione dell'imposta fiscale cominciò a formarsi un computo cronologico basato su un identico numero di anni che si diffuse rapidamente nell'impero per regolare il tempo[5] e che rimarrà in uso nella tarda antichità ed anche oltre. Per volontà di Costantino I, dopo la vittoria su Massenzio l'Indizione fu adottata, nel 312 d.C. ma per essere applicata dal 313 d.C., certamente come elemento cronologico di tutti i documenti poiché non tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere ciò come un'adozione ufficiale dell'indizione quale sistema di datazione ma semplicemente come una sorta di riorganizzazione burocratica che prevede una metodologia di allineamento della datazione degli altri documenti rispetto ai documenti fiscali. Nel VI secolo d.C. è Giustiniano che fissa l'indicazione dell'anno indizionale nelle norme del Corpus iuris civilis relative alla confezione dei documenti adottando ufficialmente ed inequivocabilmente l'indizione quale sistema di datazione[6][7].

L'indizione nel medioevo e negli evi moderno e contemporaneo[modifica | modifica wikitesto]

L'uso dell'Indizione resta in tutto il Medioevo e per buona parte della modernità, anzi, per l'Alto medioevo, risulta essere uno dei criteri di datazione più certi in rapporto alla progressiva perdita di funzionalità di altri computi come gli "Anni del Consolato". Tale uso comincia a diffondersi nella maggior parte delle cancellerie occidentali, cioè fuori dal dominio bizantino, addirittura nel V secolo, ossia prima della legislazione giustinianea, e nel IX secolo viene adottato anche dai Franchi. Fu utilizzato, anche se sporadicamente, fino all'età napoleonica e sussiste ancora per alcuni computi dell'anno ecclesiastico, fra cui quelli inerenti alla determinazione della data della Pasqua.

Calcolo dell'Indizione[modifica | modifica wikitesto]

Nelle scienze ausiliarie della storia, specialmente in Diplomatica, è utile ottenere l'Indizione in rapporto all'anno dell'era cristiana perché il risultato permette di avere un ulteriore termine di confronto al fine di stabilire l'esatta data di emissione di un documento, nonché per stabilirne l'eventuale autenticità[8].
Nella seguente tabella si ottiene l'indizione incrociando la colonna del secolo con la riga corrispondente all'anno:[9]
Indizione300400500
600700800
90010001100
120013001400
150016001700
001530456075903138
011631466176914149
0217324762779251510
031833486378936111
041934496479947212
052035506580958313
062136516681969414
0722375267829710515
082338536883981161
092439546984991272
102540557085--1383
112641567186--1494
122742577287--15105
132843587388--1116
142944597489--2127
Il calcolo si fa sommando 3 all'anno di cui si vuole sapere l'indizione, dividendo poi il tutto per 15: l'ultimo resto prima dei decimali sarà l'Indizione; se il resto è 0 l'indizione sarà la XV.
La necessità di sommare 3 all'anno è data dal fatto che se ripercorressimo i cicli indizionali dal 313 d.C. all'inizio dell'era cristiana, il primo ciclo utile cadrebbe tra il 3 a.C. ed il 12 d.C., esiste quindi uno sfasamento di tre anni tra le due forme di datazione[10].
A titolo esemplificativo, di seguito si presentano due casi:
  • Per l'anno 1969 l'indizione era la settima:
    • Prima operazione 1969 + 3 = 1972
    • Seconda operazione 1972: 15 = 131 con resto 7
  • Per l'anno 1932 l'indizione era la quindicesima:
    • Prima operazione 1932 + 3 = 1935.
    • Seconda operazione 1935: 15 = 129 con resto 0 (per resto 0 l'indizione è la quindicesima)

Diverse tipologie di Indizione[modifica | modifica wikitesto]

Esempio di documento del 16 maggio 1324 con indizione settima:
Millesimo tregentesimo vigesimo quarto. Die mercuri sextodecimo intrante mense madii. Indictione septima
Millesimo tregentesimo vigesimo quarto. Die mercuri sextodecimo intrante mense madii. Indictione septima
Per verificare effettivamente un'indizione è necessario tener conto di eventuali correzioni sia per l'inizio dell'anno sia per l'inizio dell'indizione, corrispondenti a diversi stili.

Stili per l'indizione[modifica | modifica wikitesto]

A seconda della data di partenza dell'indizione è necessario considerare una correzione.
  • Indizione greca o bizantina o costantinopolitana, in uso a Bisanzio per moltissimo tempo, nell'Italia meridionale fino al XVI secolo, nella zona di Milano dal X sec., nella zona di Siena e nella Cancelleria pontificia sino IX secolo anche se si trova qualche documento curiale che la continua ad utilizzare fino al 1197 d.C. Essa si basa sullo stile bizantino per cui dura dal 1º settembre, capodanno, sino 31 agosto successivo compresi, mentre a Siena dura dall'8 settembre, capodanno, sino al 7 settembre successivo compresi. Alcuni studiosi ritengono che l'indizione presente a Siena sia da considerarsi come una indizione vera e propria e non come una versione senese dell'indizione greca in quanto i legami con quest'ultima sarebbero del tutto casuali.
  • Indizione bedana o costantiniana o cesarea, in uso spesso presso la Cancelleria imperiale bizantina e nei territori della repubblica genovese. Secondo alcune fonti venne chiamata Bedana perché fissata o usata dal Beda. Durava dal 24 settembre al 23 settembre successivo o, secondo altre fonti, dal 23 settembre al 22 settembre successivo compresi. Una particolarità sarebbe costituita dalla versione genovese dell'indizione bedana, conosciuta anche come Bedana all'uso genovese, la quale per alcuni studiosi si tratterrebbe di una indizione a sé stante anche se di origini bedane, e che calcola il computo dell'anno inferiore di una unità rispetto all'indizione bedana vera e propria.
  • Indizione romana o pontificia, in uso in occidente sin dal IX secolo. A essa sono riconducibili direttamente due stili: lo stile della Natività, molto diffuso nel medioevo specie in Italia settentrionale, per cui dura dal 25 dicembre al successivo 24 dicembre compresi, e lo stile della Circoncisione, usato dal secolo XIV in modo sempre più esclusivo dalla Cancelleria pontificia per poi cominciare a diffondersi fuori dall'ambito della Cancelleria pontificia e lentamente sostituire lo stile della Natività, per cui dura dal 1º gennaio al 31 dicembre successivo compresi. Alcuni studiosi ritengono che lo stile della Circoncisione non sia che una ridenominazione cristiana di un precedente stile il cui usò iniziò con la riforma del calendario di Giulio Cesare e di cui la Cancelleria pontificia avrebbe conservato delle testimonianze.

Stili per l'anno[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Primo giorno dell'anno.
Nel calcolo dell'indizione è necessario considerare il diverso capodanno inizio dell'anno (ad es. a Milano era in uso lo stile della Natività).
  • Stile della Natività portava ad anticipare l'inizio dell'anno a Natale perciò al 24 dicembre 1399 seguiva il 25 dicembre 1400.
  • Stile veneto, in uso nei territori della serenissima Repubblica sino al 1797 e che risale all'antico calendario romano antecedente la riforma giuliana, quando non esistevano i mesi di gennaio e febbraio, per cui il capodanno cade il 1º marzo.
  • Stile dell'Incarnazione, in uso nei territori di Pisa e di Firenze, si basa sul computo degli anni effettuato da Dionigi il piccolo, per cui l'inizio dell'anno viene fatto corrispondere con la Solennità della Annunciazione ossia il 25 marzo. Poiché il suo uso determinava due date differenti nei territori fiorentini e pisani, secondo che l'anno inizi rispettivamente il 25 marzo precedente o successivo rispetto al 1º gennaio in base al computo attuale, alcuni studiosi parlano di due stili distinti, il fiorentino ed il pisano.
  • Stile della Pasqua, in uso soprattutto in Francia per cui la data della Pasqua era il capodanno. Tale stile comporta notevoli differenze fra un anno e l'altro, dato che la data di Pasqua è mobile cadendo tra il 22 marzo e il 25 aprile.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Pare che l'introduzione dell'Indizione nella Res Publica Romana risalga al 46 a.C. e si debba a Giulio Cesare.
  2. ^ È certo che Diocleziano nel 297-298 d.C. attribuì all'Indizione anche un carattere fondiario in quanto, oltre a mantenerla per i singoli cittadini, la fissò anche per ogni paio di animali sotto il giogo, cioè capita et iuga: pare, altresì, che Diocleziano avesse stabilito che il tributo fosse anche pagabile solo in natura.
  3. ^ Alla cadenza annuale dell'Indizione si oppone una serie di considerazioni circa la successiva cadenza quindicennale del tributo: del resto, non vi è traccia dell'osservanza della cadenza annuale del tributo anche se ciò, in linea generale, non esclude l'annualità del versamento del tributo.
  4. ^ Secondo alcune fonti, il computo quindicennale dell'Indizione inizia nella seconda metà del IV secolo in quanto collegato al tempo di 15 anni che sarebbe trascorso tra due revisioni catastali, immediatamente consecutive, eseguite per regolare le imposizioni fiscali; per altre fonti, il computo quindicennale risalirebbe direttamente a Costantino I in quanto quest'ultimo avrebbe fissato tale periodo in conformità al tempo de facto trascorso tra l'Indizione decretata da Diocleziano nel 297-298 d.C. e quella decretata da Lui stesso nel 312-313 d.C. .
  5. ^ La diffusione repentina nell'Impero Romano è dovuta a considerazioni di carattere pratico in quanto tale computo era ritenuto più affidabile rispetto al computo basato sugli anni di sovranità imperiale a seguito della complessità venutasi a creare con l'istituzione della tetrarchia dioclezianea.
  6. ^ Constitutiones 4.21: De fide instrumentorum et amissione eorum et antapochis faciendis et de his quae sine scriptura fieri possunt; e Novellae 73, relativa all'efficacia del documento, e 47, relativa alla composizione della data nei documenti.
  7. ^ L'opinione che ritiene che la disposizione costantiniana non sia un'adozione ufficiale dell'indizione quale sistema di datazione si basa sulla considerazione che la tale adozione ufficiale avviene con la legislazione giustinianea; l'opinione che la disposizione costantiniana sia da intendersi al contrario, ossia quale adozione ufficiale dell'indizione quale sistema di datazione, si basa sulla considerazione che le disposizioni giustinianee fanno riferimento al 313 d.C. quale anno d'inizio dell'uso di computare il tempo secondo il detto sistema di datazione.
  8. ^ Nei documenti normalmente si trova indicata solo la denominazione dell'anno e raramente è espressamente indicata la distanza rispetto all'anno indizionale: non vi è mai alcuna indicazione circa la serie dei cicli indizionali anche se, secondo alcuni studiosi, tali cicli avrebbero avuto una qualche denominazione nella media antichità romana. Nell'ambito dell'Indizione quindicennale di cui si conosce l'inizio del primo ciclo, è evidente che il calcolo per stabilire di quale ciclo indizionale si tratti può essere effettuato mentre, nell'ambito sia di Indizioni quindicennali di cui non si conosce l'inizio del primo ciclo sia di Indizioni non quindicennali, il calcolo diventa più difficile e, se la teoria delle denominazioni dei cicli indizionali non fosse provata e che comunque sarebbe limitata alla media antichità romana, continuerà a risultare impossibile stabilire sulla sola base del computo indizionale la cronologia degli avvenimenti se gli stessi non sono posti in relazione ad altre coordinate cronologiche, per cui il computo indizionale continuerà a rimanere un elemento cronologico di controllo.
  9. ^ Tabella tratta da: H. Grotefend, Zeitrechnung des deutschen Mittelalters und der Neuzeit, vol. II, 1891, Tab. XIV, p. 18 [1]
  10. ^ L'origine del primo ciclo quindicennale non sempre però viene fatta risalire al 3 a.C. in quanto da Gregorio VII in poi diversi papi fissarono la detta origine nel 1º gennaio del 313 d.C. .

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Francesco Alvino, I calendari, ossia metodi di computare il tempo dai popoli antichi e dalle nazioni moderne, Firenze 1891;
  • J.K. Ginzel, Handbuch der mathematischen und technischen Chronologie, 3 voll., Lipsia 1906-1914;
  • Adriano Cappelli, Cronologia, Cronografia e Calendario perpetuo, Hoepli, Milano 1930 (varie ristampe);
  • Filippo Valenti, Il documento medioevale: nozioni di diplomatica generale e di cronologia, Modena 1961;
  • Mario Talamanca, Documentazione e Documento (Diritto Romano), in Enciclopedia del Diritto, XIII, Giuffrè, Milano 1964;
  • Gian Gualberto Archi, Giustiniano Legislatore, Il Mulino, Bologna 1970;
  • Cesare Paoli, Diplomatica, nuova edizione aggiornata da G. C. Bascapè, Sansoni, Firenze 1942;
  • Alessandro Pratesi, Genesi e Forme del documento medievale, Jouvence, Roma 1987;
  • Mario Amelotti - Giorgio Costamagna, Alle origini del notariato italiano, Giuffrè, Milano 1995 (in part. nella I sezione "L'età romana" di Ameliotti, il cap. III "La disciplina giustinianea del tabellionato".

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Carissima Maria. le tue rabbie esistenziali che ti rendono sempre più bella e simpatica sono una cosa, altra cosa è capovolgere la grande tragedia italiana che è stata il fascismo specie nele sue parti iniziali e final: ciò offende è offenerci a noi comunisti e direi a tutte le altri parti politiche che considerano ancora reato la cosiddetta apologia del fascismo di cui ti stai macchando. Tu stai infrangendo la legge, la legge italiana. Quelli che hanno subito l'ignomia delle... leggi razziali volute dal Duce dovendo leccare il culo ad Hitler, altro che Merckel, (V. una Giornata Particolare) non te lo perdonano. E siccome ti voglio bene ti dico: lascia perdere, certo te lo dico da fanatcvo 'comunista del cazz'o, che però la storia se la sta studiando con rigore scientifico e non perché imbecilli nostalgici peraltro di vomitevole incultura storica si mettono a gigionare e ad offendere se mi permetti persone come me, sì sono Comunista del cazzo, ma colto ed assennato, nulla a che fare con i vomitevoli fascistelli dei miei coglioni. . Calogero Taverna
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martedì 28 novembre 2017

 nessuno credo mi potrà accusare di berlusconfilia; da vecchissimo che pensa la politica non ESSERE moralistica né fecalmente denigratrice, ma soltanto e solo 'politica economica', altrimente davvero l'intero Stato non ce la fa ad arrivare a fine mese, DAVVERO MI AUGURO CHE NELLA PROSSIMA PRIMAVERA, nonostante il mio voto contrario, possa codesto volpone di Berlusconi prendere il seguito del mite Gentiloni. Ci sarà da sostituire Draghi e se vengono quelli con i 'conti a posto' allora sì che non ce la farà il nostro bistrattao Stato italiano a sbarcare il lunario. Quanta alla via giudiziaria della rossa boccassini avverso l'odiato Berlusconi, ne resto sgomento. Berliuconi ne avra combinate tante con le donne - beato lui - ma i quattro anni per evasione fiscale sono una grossa macchia della meneghina giustizia. So bene cosa furono i dividend washing ma siccome la responsabiltà penale è personle, allora se la dovevan prendere con Confalonieri. E nel 1974 Berlusconi era un privato impremndtore con i figli esposti al sequestro di persona.,crimine terribile che giudici, sbirri e carabinieri non sapevano (o non volecano) reprimere. Capisco che i ciarlieri ragazzi all'ordine del comico Grillo non possono conoscere questa nostra recente tragica storia. Ma la verità da loro vilpesa grida vendetta al cospetto di Dio e degli uomini.

lunedì 27 novembre 2017

Con quale coscienza tranquilla, con quale onestà di mente e di cuore, con quale senso di umana civiltà il Casarrubea e il suo accolito del tempo Cereghino potevano scrivere nel loro 'La Scomparsa del bandito Giuiano' del 2013, ed. Bompiani, queste scelleratezze contro il grande questore racalmutese Messana?
Leggo a pag. 105: "Qualche mese più tardi. Ettore Messana divenne ispettore generale di Pubblica sicurezza per la Sicilia, su nomina diretta del premier Bonomi. E' stato questore a Lubiana e a Trieste tra il 1941 e il 1943 MACCHIANDOSI di CRIMINI DI GUERRA; torture ed esecuzioni ai danni di partigiani jugoslavi e deportazioni della popolazione civile nei campi di prigionia italiani: Ma alla fine del 1944 le autorità italiane e anglo-americane chiudono gli occhi dinanzi tali misfatti. E poco importa che il siciliano Messana figuri negli elenchi della Commissione delle Nazoni unite per i crimini di guerra"..
Distorsioni, calunnie, disinformazioni, diffamazione grave e consapevole a profusione.
Il gr,Uff. Messana Ispettore Generale di Pubblica sicirezza lo era già nel luglio del 1942 dopo avere lasciato Lubiana in quanto non sollecito e disumano nelle indagini che aveva dovuto condurre contro un covo di fuorilgge sloveni segnalato dai tedeschi. Messana è preciso, giusto, sereno nel condurre le indaf'gini scoprendo le false generalità dei tanti soggetti rifugiatisi in un casolare di Lubuana; lascia che una signora curata nella infermeria pretenziosa del nuovo carcere messo sù dagli italiani nel primo periodo molto umanitario della elevazione di Lubiana a capoluogo di proincia, possa . svignarsela con la compiacenza di un milite slavo agli ordini della questura italiana. Messana poteva e doveva per lo meno fucilare sul posto quello slavo in divisa italiana. Non lo fece e ne pagò le conseguenze con l'allontamento da Lubiana per finire in subordine del prefetto di Trieste pur avendo il grado di Ispettore Generale di PS. La segnalazione di quel connubbio criminale inglese-tiitino, quando macchavasi dell'efferato eccidio di 12.000 demoblanci slavi finì sprezzantemente archiviato a Roma ove si erano acqusiti le carte serie e coeve dell'effettivo operato in Lubiana di Messana.
Quanto all'anno passato a Trieste, basta leggere quello che scrive circa la 'mancanza di animo fascista del Messana, il Senise in un libro pubbliccato nel 1946. Cerrnigoi poteva non averne conoscenza, essendo 'storica' così tanto per ridere, ma Casarrubea non poteva non sapere. Messana non aveva torturato alcuno né italiano né slavo; aveva fattto solo come una sorta di capostazione, pur elevatissimo di grado, nell'eseguire ordini ministeriali volti a trasferire carcerati daòòe insicure località triestine in quel di Pisticci. Messana non ebbe ad aderire alla RSI e perdendo stipendio grado e posto si rigugiò a Roma potendo anche rimetterci la vita se rintracciato dal Gestapo. Entrati gli americani a Roma, Messana torna Ispettore Generale di PS al Viminale. Nel Maggio del 1945, come candidamente anche qui si ammette, Bonomi sicuro mssone e quindi forse confratello del Messana, fu lui a mandarlo in Sicilia.
Se chiamato in giudizio il calunniatore Cereghino (Casarrubea è morto), come potrebbe dimostrare che Messana si era 'macchiato di crimnini di guerra', quale sentenza lo stabilisce, quale, inchiesta giudiziaria lo afferma? Come potrebbe contestare le controprove che posso mostrare a iosa? E Bompiani come porebbe discolparsi dalla colpa di correità di diffamazione aggravata a mezzo stampa?
Le autrorità italiane e anglo-americane non ebbero né motivo né occasione per chiudere chissà quali occhi dinanzi chissà quali misfatti. Non chiuse però gli occhi Messana quando denunciò reiteratmente al Viminale le connivrenze degli ufficiali americani (sappiamo ora essere delle OSS) con il bandito Giuliano ed altre bande criminali siciliane .E ciò al Messana costò il posto di Palermo dopo la strage di Portella delle Ginestre. Fu però De Gasperi a portarselo a Roma come suo consulente particolare consentendogli accessi egemoni in Viminale, ove fu rispettato sino alla commossa e riverente partecipazione aii funerali di questo intemerato servitore dello stato, oggi sepolto con onore al Verano.
Calogero Taverna